Il gioco è da ritenersi una funzione fondamentale nella vita individuale di ogni specie, ecco perché in educazione, ma principalmente in educazione speciale è un mediatore di fondamentale importanza. I soggetti con handicap, non giocano mai o poco, l’assenza dell’attività ludica, come quella del movimento, che questa comporta, crea handicap indotti sia nei normodotati sia nei disabili. La società in cui viviamo, che Larocca cita come “nuovo medioevo”, è disattenta ai bisogni dei bambini, paradossalmente con il consumistico aumento di giocattoli è diminuita la capacità di giocare.
Huizinga sostiene che “la cultura è fondata sulla nobiltà del gioco ”, e in più
“la cultura vera non può esistere senza una certa qualità ludica, perché cultura suppone autolimitazione e dominio, una certa facoltà a non vedere nelle proprie tendenze la mira ultima e più alta, ma a vederla racchiusa entro limiti che liberamente essa stessa si è posta”
Il primo atto creativo del gioco è quello del ri - simbolizzare il corpo, ossia entrare in un ruolo che permette di vedere noi stessi e la realtà in modo diverso. Usare il gioco come mediatore consente di sbagliare senza nessuna conseguenza, è possibile osare. Durante il gioco non si ha la percezione della fatica fisica perché a dirigere le nostre azioni è il cervello emotivo. Il rischi per chi non ha vissuto queste esperienze sono molti; dai disturbi della personalità alle fobie. La scuola è deputata a guarire, i suoi ragazzi dall’incapacità di giocare che sfocia nei comportamenti antisociali, alcuni dei fenomeni attuali come: il vandalismo, le risse, fino ad arrivare al lancio dei sassi dai ponti, non sono che tristi giochi che vanno a sostituire quelli che non si sono fatti da bambini.
Il gioco è anche ricreare l’anima, attraverso la ricreazione del corpo avviene una catarsi psicologica e spirituale, è possibile quindi estraniarsi dal proprio sé per ricostruire una nuova identità, senza esitazioni, senza i vincoli della razionalità.
Attraverso il gioco, il bambino coglie gli strumenti reali con cui potrà giocare ed esprimere il proprio sé: movimento, suoni, linguaggi ecc…
Esistono poi delle professioni che consentono di alimentare lo spirito ludico, è questo il caso degli attori sia teatrali sia cinematografici, l’attività consente di interpretare diversi ruoli più o meno simili alla propria personalità, rimando coerenti con la propria identità reale. Essi coinvolgono lo spettatore nel gioco trasmettendogli emozioni. Il bambino quando gioca, sa che sta fingendo, richiama l’attenzione dell’adulto, lo rende spettatore. L’applauso è il momento in cui si torna alla realtà, si identifica spettatore e attore. Il gioco è anche identificazione e distinzione tra realtà e finzione, soggettivazione e desoggettivazione; è equilibrio tra le due parti.
La scuola per la mentalità e la società tutta devono riconoscere l’importanza di creare le giuste condizioni in cui il bambino può sperimentare e ricercare. Per un bambino comprendere una cosa significa costruirla egli stesso e deve reinventarla.
L’atteggiamento ludico può essere considerato la via migliore per il recupero e la preparazione al lavoro, senza che questo sia percepito come noiosa imposizione.
Esistono due tipi di giochi: i giochi finiti (che terminano con la vittoria sull’avversario), ed i giochi infiniti ( che si fanno per il solo piacere di farli).
Nel gioco infinito si scoprono le regole prescrittive e si è spinti, per poter ancora giocare, verso la creatività e l’innovazione. E’ grazie al fatto di aver interiorizzato l’atteggiamento ludico che da adulti si è capaci di affrontare i problemi che la nostra esistenza ci propone. I giochi finiti ci insegnano giocare nel gioco infinito della vita e dell’amore, essi avvengono in un tempo ristretto e magico in cui si ha la sensazione di dominare la natura, la sensazione del potere. Il bambino a cui tutto questo è negato non sarà mai totalmente autonomo. Tra il quarto ed il settimo anno di vita il bambino crede che tutto muova intorno ai propri desideri, appena raggiungerà la pre- adolescenza riuscirà a scindere la soggettività dall’oggettività. Il soggetto con handicap matura tre visioni del mondo fisico: animismo , finalismo, artificialismo. L’animismo, considera animati e dotati di intenzioni oggetti che non lo sono, il finalismo si concentra sulla sullo scopo dell’oggetto senza interessarsi all’azione che compie, l’artificialismo considera le cose come prodotto dell’attività umana. L’educazione si pone come obiettivo il superamento di questo stadio fino ad arrivare a trasferire le capacità creative sul piano del simbolismo quantomeno iconico.
Huizinga sostiene che “la cultura è fondata sulla nobiltà del gioco ”, e in più
“la cultura vera non può esistere senza una certa qualità ludica, perché cultura suppone autolimitazione e dominio, una certa facoltà a non vedere nelle proprie tendenze la mira ultima e più alta, ma a vederla racchiusa entro limiti che liberamente essa stessa si è posta”
Il primo atto creativo del gioco è quello del ri - simbolizzare il corpo, ossia entrare in un ruolo che permette di vedere noi stessi e la realtà in modo diverso. Usare il gioco come mediatore consente di sbagliare senza nessuna conseguenza, è possibile osare. Durante il gioco non si ha la percezione della fatica fisica perché a dirigere le nostre azioni è il cervello emotivo. Il rischi per chi non ha vissuto queste esperienze sono molti; dai disturbi della personalità alle fobie. La scuola è deputata a guarire, i suoi ragazzi dall’incapacità di giocare che sfocia nei comportamenti antisociali, alcuni dei fenomeni attuali come: il vandalismo, le risse, fino ad arrivare al lancio dei sassi dai ponti, non sono che tristi giochi che vanno a sostituire quelli che non si sono fatti da bambini.
Il gioco è anche ricreare l’anima, attraverso la ricreazione del corpo avviene una catarsi psicologica e spirituale, è possibile quindi estraniarsi dal proprio sé per ricostruire una nuova identità, senza esitazioni, senza i vincoli della razionalità.
Attraverso il gioco, il bambino coglie gli strumenti reali con cui potrà giocare ed esprimere il proprio sé: movimento, suoni, linguaggi ecc…
Esistono poi delle professioni che consentono di alimentare lo spirito ludico, è questo il caso degli attori sia teatrali sia cinematografici, l’attività consente di interpretare diversi ruoli più o meno simili alla propria personalità, rimando coerenti con la propria identità reale. Essi coinvolgono lo spettatore nel gioco trasmettendogli emozioni. Il bambino quando gioca, sa che sta fingendo, richiama l’attenzione dell’adulto, lo rende spettatore. L’applauso è il momento in cui si torna alla realtà, si identifica spettatore e attore. Il gioco è anche identificazione e distinzione tra realtà e finzione, soggettivazione e desoggettivazione; è equilibrio tra le due parti.
La scuola per la mentalità e la società tutta devono riconoscere l’importanza di creare le giuste condizioni in cui il bambino può sperimentare e ricercare. Per un bambino comprendere una cosa significa costruirla egli stesso e deve reinventarla.
L’atteggiamento ludico può essere considerato la via migliore per il recupero e la preparazione al lavoro, senza che questo sia percepito come noiosa imposizione.
Esistono due tipi di giochi: i giochi finiti (che terminano con la vittoria sull’avversario), ed i giochi infiniti ( che si fanno per il solo piacere di farli).
Nel gioco infinito si scoprono le regole prescrittive e si è spinti, per poter ancora giocare, verso la creatività e l’innovazione. E’ grazie al fatto di aver interiorizzato l’atteggiamento ludico che da adulti si è capaci di affrontare i problemi che la nostra esistenza ci propone. I giochi finiti ci insegnano giocare nel gioco infinito della vita e dell’amore, essi avvengono in un tempo ristretto e magico in cui si ha la sensazione di dominare la natura, la sensazione del potere. Il bambino a cui tutto questo è negato non sarà mai totalmente autonomo. Tra il quarto ed il settimo anno di vita il bambino crede che tutto muova intorno ai propri desideri, appena raggiungerà la pre- adolescenza riuscirà a scindere la soggettività dall’oggettività. Il soggetto con handicap matura tre visioni del mondo fisico: animismo , finalismo, artificialismo. L’animismo, considera animati e dotati di intenzioni oggetti che non lo sono, il finalismo si concentra sulla sullo scopo dell’oggetto senza interessarsi all’azione che compie, l’artificialismo considera le cose come prodotto dell’attività umana. L’educazione si pone come obiettivo il superamento di questo stadio fino ad arrivare a trasferire le capacità creative sul piano del simbolismo quantomeno iconico.
1 commento:
Per parlare dell’importanza del gioco si può partire da una frase di Hiruga il quale sostiene che “la cultura è fondata sulla nobiltà del gioco e per arrivare alla sua più alta qualità di stile e dignità non può fare a meno del suo fattore ludico” Questa frase ci offre lo spunto per comprendere che il gioco ha una importanza fondamentale per lo sviluppo della persona umana. In primo luogo gioco come ri-simbolizzazione del corpo, capacità cioè di calarsi in un nuovo ruolo che cambia gli stati emotivi. Chi non gioca durante l’infanzia ha maggiori possibilità di soffrire da adulto di disturbi della personalità perché rimane a giocare nel proprio mondo fantasmatico. E’ fondamentale, pertanto, venire incontro alla ri-creazione del corpo di tutti i bambini attraverso le tre finalità attive dell’esplorare, creare, comunicare. Il gioco è però olistico, investe non solo la ricreazione del corpo ma anche la catarsi psichica e spirituale. Tutte queste fasi del gioco, fondamentali nell’educazione dei normodotati, lo sono ancora di più nell’educazione dei soggetti disabili nei quali, attraverso di esso, può essere sviluppata la capacità di creare e quindi formare un patrimonio e nel caso di soggetti affetti da disabilità relative al movimento fisico, anche la strada maestra per il loro recupero fisico.
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